27 settembre 2006

Elogio del Bar

Riprendo a scrivere su questo blog, ho deciso. Almeno qualcosa, sebbene di poco conto, nella vita, non voglio iniziarla e lasciarla inconclusa. Magari iniziando dalle cose di poco valore imparo a portare a termine quelle più importanti...
E sia, se la mia proposta di blog collettivo, di contenitore di informazioni, di agorà digitale, è andata perduta. Vuol dire che il destino di questo blog è quello di essere solo un altro blog, però il mio. Ci scriverò quando ne avrò tempo e soprattutto voglia, perché non sempre il parlare è positivo. C'è tanta gente che parla per parlare, e a me questa gente mette una tristezza infinita. Spesso è meglio tenere la bocca chiusa, essere in silenzio, non essere in casa, non essere in sè.
Ho passato un estate piacevole, trascorrendo stupendi pomeriggi di sole e mare, e serate di cui al mattino dopo non ricordavo la fine. Ho consolidato o riallacciato i rapporti con i vecchi amici, perché senza gli amici non sei niente, non vali niente.
Ma tra gli amici ho anche avvertito i primi segni del dividersi delle strade, non sempre, o almeno, non solo, per fatalità. Certe volte mi è sembrata una scelta.
Quando si è ragazzi siamo tutti uguali. Poi pian piano si comincia a crescere, e qualcuno, nel progettare (se è lecito) il proprio futuro, comincia a badare anche alle amicizie. Non a cosa sono state, ma a cosa saranno, a cosa serviranno.
Assistere e poi pensare a questo, nelle ultime settimane del mio soggiorno salentino, era ciò che appena arrivata la sera mi spingeva a correre al bar.
Il bar. Un approdo sicuro per tutte le anime clandestine, scoperte, alla deriva. Quando ti senti solo e stanco, battuto, il bar è lì che ti aspetta, col suo bancone lucido, che sia di metallo, marmo o legno, le luci soffuse, la musica bassa che ti accarezza, il bravo barista, che qualcuno dovrebbero beatificarlo, che sa sempre esserti amico sincero e, dietro di lui, le bottiglie. Le bottiglie luccicanti, ammiccanti, languide. Il solo guardarle ti rimette il cuore a posto, ti senti al sicuro, protetto. Lì, appollaiato allo sgabello, chiedi qualcosa - che poi chiedi sempre le solite due o tre cose - e mandato giù il primo sorso, ti accorgi che, in fondo, non va poi così male...
E siccome in questo post l'influenza caposseliana (caposseliana... Federico Fellini disse: «Felliniano... Avevo sempre sognato, da grande, di fare l'aggettivo.») è a dir poco evidente, mi piace concludere con un pezzo del suo Non si muore tutte le mattine:
Però... c'è chi beve e si vanta della sua ubriachezza... c'è chi si ubriaca e poi si vergogna dei suoi sentimenti... io osservo tutto questo e lo sopporto bevendo. Un bicchiere è un'arma impropria quando lo appoggi vicino al cuore... la vita va corretta, eccome, è troppo dura da buttare giù liscia... il bar non te li regala i ricordi, ma i ricordi di portano sempre... al bar.





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